La fiamma che l'acqua non spegne
- Elena Bertoli
- 24 ott 2019
- Tempo di lettura: 8 min
Aggiornamento: 5 set 2020

Un’altra serata era volta al termine. Con il trucco sbavato e qualche tequila di troppo, Sarah tornò a casa in piena notte, reduce da una festa in discoteca con i suoi amici. Abitava lontano dal centro, nel cuore di un fitto bosco, in un’antica casa in stile tudor che si affacciava su un lago.
Si tolse i tacchi, girò lentamente le chiavi nella serratura ed entrò in punta di piedi. La luce si accese prima ancora che lei potesse richiudere la porta. Vide suo padre William uscire dalla cucina e raggiungerla preoccupato. «Lo sai che ore sono? Dov’eri? Ti rendi conto di quanto ero in ansia per te?» le disse scrutandola a fondo per verificare se stesse bene.
Lei sbuffò: «Te l’ho detto prima di uscire dove andavo! Non ho fatto niente che gli altri ragazzi della mia età non fanno! E’ mai possibile che io non possa uscire una sera con degli amici senza ritrovarmi il tuo fiato sul collo appena torno a casa?» «Non urlare o sveglierai Jamie!» replicò lui, smorzando la discussione e andando a dormire.
Sarah salì le scale che portavano alla sua stanza. Andò prima a controllare il suo fratellino e, quando vide che stava dormendo, si ritirò in camera, si cambiò e si infilò sotto le coperte. Nonostante la stanchezza fisica, non riusciva ad addormentarsi, ancora euforica per la serata e nervosa per l’atteggiamento iper-protettivo del padre. Quella casa le stava stretta, quella vita le stava stretta.
Si rifugiò allora in salotto, prese della legna e accese il fuoco per scaldarsi. Si sedette su una delle poltrone di fronte al camino. Le fiamme apparivano gigantesche in mezzo al buio della sala e creavano delle ombre danzanti sulla parete. Sarah fissava quel fuoco inebriata, senza mai sbattere le palpebre. Si sentiva un tutt’uno con quelle fiamme che le illuminavano il viso e le donavano conforto, e le sembrava che la sua mente volasse altrove. Sentì una voce chiamare dal fuoco: «Isabel! …Isabel!»
«Mamma! Mammina dove vai? Mammaaaa!» urlava la piccola Sarah sbattendo i pugni contro il vetro della finestra. Ma sua madre non la sentiva, camminava lenta verso la riva del lago, nel buio della notte. Sarah, dall’alto della sua stanza, la vedeva di spalle, immergere un piede e poi l’altro, avanzando piano, senza mai fermarsi. Vedeva la sua vestaglia color vaniglia bagnarsi e gonfiarsi a pelo dell’acqua, i suoi capelli lunghi e corvini diventare un tutt’uno con quella tavola nera e piatta che in un attimo l’aveva inghiottita.
«Mammaaaaaa!!!» continuò ad urlare la bambina, precipitandosi giù per le scale. Sentiva i passi di suo padre che la rincorreva fin fuori casa mentre le intimava di fermarsi. Lui riuscì a raggiungerla e a prenderla in braccio solo quando fu vicina alla sponda del lago. Tentò di calmarla, ma lei non smetteva di piangere. Le accarezzò il viso, chiedendole cosa fosse successo. Lei singhiozzando indicò il lago, e poi continuò a chiamare sua madre. Sarah vide il viso di suo padre diventare ancora più cupo; la fece scendere e raccolse un paio di pantofole bianche lasciate sulla riva. Urlò alla figlia di correre in casa, con lo sguardo preoccupato e pieno di dolore: «Rientra in casa ti ho detto! Vai!»
Sarah corse nella stanza dei suoi genitori e si avvicinò alla culla del suo fratellino che strillava. Lo prese in braccio e lo cullò nel letto sfatto, completamente vuoto e freddo, sentendo in lontananza la voce di suo padre che urlava ripetutamente il nome di sua madre: «Isabel! …Isabel! …Isabel!»
Quel nome riecheggiava nella sua testa. Sarah sbatté le palpebre e un sussulto la fece destare. Era ancora seduta accanto al fuoco, e le fiamme si alzavano alte. Il suo sguardo le seguì fino alla mensola sopra il camino: lì vide la cornice argentata che custodiva una foto di Isabel, spensierata e sorridente. «Mamma.» bisbigliò Sarah chiudendo gli occhi e abbassando il capo. Scosse la testa e iniziò a piangere disperatamente coprendosi il viso con le mani: il suo pianto risuonava come una preghiera in quell’enorme stanza silenziosa. Il ricordo di quella notte le appariva spesso, arrivava all’improvviso come un lampo e poi se ne andava altrettanto velocemente, tormentandola e lasciando un terribile vuoto dentro di lei.
Quando si calmò, guardò fuori dalla finestra, attirata dal silenzio del lago. Senza pensarci troppo, uscì di casa e si avvicinò lentamente alla sponda, evitando però che l’acqua arrivasse a sfiorarle i piedi.
Sarah non era mai entrata in quel lago, rimaneva sempre ferma sulla riva, ad osservarlo: aveva come la sensazione di dover chiedere il permesso, come se quelle acque non fossero alla sua portata, come se le lievi onde delimitassero un territorio che lei sentiva di non dover invadere. Da quando Isabel vi annegò, Sarah si limitò semplicemente ad ammirare il lago, e a temerlo. Era spaventata dal mistero che suscitava, dalla sua assenza di limiti, e dall’abisso che si era impadronito di sua madre.
Negli anni, sotto insistenza di William, Sarah aveva preso lezioni di nuoto. Si era sempre trovata a suo agio nelle piscine, riusciva a lasciarsi andare perché si sentiva al sicuro entro i bordi di cui esse sono costituite. Era tutto sotto il suo controllo, sapeva la lunghezza della vasca e la profondità in cui si sarebbe tuffata. Lei nuotava velocissima, per raggiungere qualcosa, o forse qualcuno, che però non riusciva ad afferrare mai perché incontrava solo il bordo della piscina. E allora tornava indietro, vasca dopo vasca, più veloce di prima, finché non le mancava il fiato e si fermava. Una corsa bagnata e disperata.
La sua determinazione l’aveva portata a trionfare in molte gare e a vedere suo padre applaudirla fiero dagli spalti. Nelle piscine era una vincitrice, ma il lago era una sfida che lei non aveva mai osato affrontare. Si tuffava decisa dai blocchi di partenza senza pensare a nulla, ma puntualmente si bloccava sulla sponda del lago, sentendosi inerme, proprio come quando da bambina suo padre l’aveva fermata, impedendole di raggiungere Isabel.
Sarah rimase ferma per un po’ sulla riva a fissare le onde che non riuscivano ad arrivare ai suoi piedi, poi alzò lo sguardo: la fioca luce della luna rischiarava parte del lago, tremendamente invitante. Prese coraggio e decise di introdursi in quel territorio ignoto. Avanzò, passo dopo passo, proprio come ricordava aveva fatto sua madre. Tremava dal freddo, ma non si fermò fin quando non sentì l’acqua gelida arrivarle all’altezza del collo e comprimerle la gola. Ora i suoi occhi, pronti a spaventarsi, vedevano da vicino il nero pece del lago. «Mamma?» pronunciò sottovoce, per non disturbare la calma conturbante di quel luogo. Ma non ricevette alcuna risposta.
Portò un piede in avanti, e non sentì più il fondo sotto di lei. Si lasciò cadere in quell’abisso improvviso. Sentiva l’acqua ghiacciata pungerle il corpo ed entrarle dentro prorompente. Sarah aprì gli occhi ma, immersa nel buio, non riuscì a vedere la superficie, e il panico la travolse.
Si spaventò perché, in fondo, una parte di lei sarebbe rimasta lì, senza lottare, proprio come sua madre, che si era immersa senza mai voltarsi, che era scomparsa nel vuoto in pochi secondi, senza un perché.
Scaraventata sott’acqua, Sarah iniziò a muoversi disperata e a scalciare per risalire a respirare. Nuotò velocemente, come sapeva ben fare, portando ogni volta le braccia in avanti per raggiungere quel qualcosa che da anni le era sfuggito. Arrivò alla superficie, facendo uscire la mano dall’acqua, afferrando l’aria, arrivando al suo traguardo: la libertà da quel terribile ricordo che fin dall’infanzia premeva nella sua mente. Emerse prorompente dall’apnea, facendo un forte respiro e tossendo. Poi riprese a nuotare fino alla riva, dove si sdraiò per riprendere fiato e sorridere dolcemente al cielo.
Una volta rientrata in casa, corse in salotto battendo i denti, completamente fradicia, con mani e piedi intorpiditi. Si sedette rannicchiata sul pavimento, vicino al camino, per riscaldarsi.
Ascoltando lo scoppiettio della legna secca a contatto con il fuoco, Sarah sentì un brivido percorrerle la schiena e un calore improvviso avvolgerla. Percepì una presenza dietro di lei, una fiamma luminosa avvicinarsi al suo corpo e riempirlo di energia. Una sensazione di leggerezza la travolse. E allora capì. Non aveva bisogno di girarsi per confermare a se stessa chi fosse, e non aveva bisogno di occhi per riuscire a vedere: sentire quella pressione sulle spalle le bastava. Isabel era rimasta. Sua madre non l’aveva mai abbandonata. Una lacrima fuggì dal cuore di Sarah e le segnò la guancia.
Sentì suo padre scendere le scale e fermarsi nell’atrio. «Ho sentito la porta chiudersi e ho visto che non eri in camera tua, non riesci a dormire?» le chiese mentre entrava nel salone. Sarah rimase in silenzio a fissare il fuoco. William la raggiunse e notò con stupore che era tutta bagnata. Andò in fretta a procurarsi una coperta e la avvolse, sedendosi accanto a lei e abbracciandola forte. La osservò preoccupato e le prese il viso tra le mani, distogliendo il suo sguardo dalle fiamme. «Guardami. Tesoro guardami. Cos’è successo? Cosa hai fatto?» le chiese, temendo la risposta.
Sarah si riprese lentamente dal suo assopimento e gli sorrise orgogliosa. Lui alzò le sopracciglia, incredulo: «Mio Dio, sei andata al lago! Non è possibile, Sarah! – le disse scuotendo la testa – Ma cosa ti è preso? Ti immergi di notte nell’acqua ghiacciata del lago? Sei impazzita? Perché l’hai fatto? Perché?» Sarah si voltò di nuovo verso il camino e non rispose.
William si alzò in piedi e si coprì il viso con la mano, tentando di non cedere alla disperazione. Si sedette sulla poltrona vicino a sua figlia e la guardò amareggiato: «Dopo quello che è successo a tua madre… Tesoro non farlo mai più, mi hai capito? Non riuscirei a vivere senza di te!»
«Vuoi sapere perché l’ho fatto? Mi sono immersa in quel lago stanotte, ma ora sono qui. Io non sono lei, papà! – rispose girandosi con sicurezza verso il padre e portandosi una mano sul petto – Posso anche averne preso il posto, accudendo Jamie fin da quando era piccolo e facendo la donna di casa ma, ti ripeto, io non sono lei! Non puoi continuare a tenermi in una campana di vetro per evitare di rivivere il dolore che ti ha provocato il suo gesto!»
William continuò a guardarla in silenzio. La scrutò meticolosamente: la sua piccola Sarah era ormai cresciuta. Si chiese quando fosse successo e si stupì di non essersene mai accorto prima.
«Perché lo ha fatto?» gli domandò lei con un filo di voce.
«Me lo chiedo ogni giorno, sai. Il medico disse che soffriva di depressione post parto, ma io non ci ho mai creduto. Penso che il vero motivo non lo sapremo mai.»
«Appunto! Non abbiamo mai capito cosa l’ha portata a compiere quel gesto, e per questo non abbiamo mai accettato la sua morte. Ma la mamma è rimasta! Ed è rimasta perché noi non l’abbiamo lasciata andare.»
«Non dire idiozie!» le disse lui, guardando altrove.
«Lei è sempre stata qui, papà. Ma noi non ce ne siamo mai accorti perché eravamo troppo concentrati a soffrire per il vuoto che aveva lasciato. Paradossale, quanto si riesca a sentire di più un’assenza che una presenza!»
William rabbrividì per i discorsi della figlia, sforzando la sua mente a non crederle. Eppure c’era qualcosa di tremendamente giusto nelle sue parole.
Sarah si alzò in piedi lasciando cadere la coperta e prese fra le mani la cornice sopra il camino. Accarezzò delicatamente la foto di sua madre, facendo scivolare una lacrima sul vetrino. «Sai papà, era bellissima la ninna nanna che cantavi a Jamie per farlo addormentare.» Suo padre sorrise: «Te la ricordi?» «Era la stessa che la mamma cantava a me, così premurosa nel dirmi “Dal silenzio del cielo, prendo per te la luna d’oro, buonanotte tesoro!”. D’ora in poi voglio ricordarla così, sorridente.»
William vide sua figlia sfilare la foto di Isabel dalla cornice e baciarla delicatamente.
«Mamma, io ti lascio andare.» disse Sarah gettando decisa la foto nel fuoco. Le fiamme bruciarono velocemente ogni lineamento di quel viso in bianco e nero: Sarah lo guardava per l’ultima volta, piangendo.
William fece un sussulto e si lasciò sfuggire qualche lacrima.
Quando nel fuoco non vide più nessuna traccia di Isabel, Sarah si voltò verso il padre: «Ho sempre visto l’acqua come una nemica. Una parte di me temerà sempre quel lago, ma questo non mi impedirà di immergermi di nuovo, e nemmeno tu.»
Poi si allontanò da lui, lasciandolo seduto sulla poltrona, inerme davanti al fuoco. Salì le scale per raggiungere la sua camera, consapevole che suo padre, al piano di sotto, non fosse solo.
© Elena Bertoli
Racconto presente nel libro "Riflessi di Realtà", Edizioni Cerchio della Luna, 2013.
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