Non ricordo la Luna
- Elena Bertoli
- 15 gen 2018
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 28 gen 2020

Ricordava quasi tutto. Ricordava il suo nome: Daniel. Ricordava i suoi piedi che calciavano rumorosamente il pallone in giro per la casa. Ricordava l’armadio in camera, troppo alto rispetto alla statura dei suoi cinque anni. Ricordava sua madre: bionda, magra, spesso nervosa e infastidita dalla sua presenza, occupata a bere, fumare e fare altre cose che lui non comprendeva. Ricordava il bisogno che aveva di sentirsi amato da lei. Soprattutto ricordava i suoi continui cambi d’umore e la confusione che provava nel non riuscire a capirli. L’unica cosa che non riusciva a ricordare era la luna. Si trovava da tanto tempo in un giardino sconfinato. Si sdraiava sull’erba ad ammirare le stelle, si arrampicava sugli alberi per acchiappare il sole. Eppure lui non cresceva, restava piccolo e pieno di domande, piccolo e desideroso di un’unica cosa: vedere la luna. Il sole riempiva i suoi giorni, ma le notti per lui erano vuote. Come tutti i bambini, era colmo di entusiasmo e iniziativa, ma una cosa lo distingueva dagli altri: lui non esisteva più. Ora tutto il suo mondo era caratterizzato da una sottile linea di confine che lo divideva dalla realtà e che lo manteneva in quello stallo fisico e mentale. Sentiva una spinta dentro di sé che lo portava a ricercare indizi, a percorrere strade sconosciute, convinto che prima o poi i suoi sforzi sarebbero stati appagati. Una notte chiuse gli occhi e li strizzò per concentrarsi, pensando intensamente alla luna. Appena gli apparve l’immagine di un uomo, li riaprì di scatto. Si ricordava di lui: era suo padre, quel padre che era andato via di casa, lasciandolo da solo con quella madre irrequieta. Chiuse di nuovo gli occhi in cerca di lui. Vide gocce di pioggia scivolare come fiumi in miniatura sulla vetrata di un bar, dietro la quale scorse il profilo del padre. Claudio stava bevendo una birra, mentre sfogliava il quotidiano locale. Una pagina attirò la sua attenzione: in una foto aveva riconosciuto Alba, sua moglie. Il cuore gli si fermò per un istante, per poi riprendere a battere all’impazzata. L’articolo era scioccante. “Tragedia familiare: madre uccide il figlio soffocandolo.” Mano tremolante. Respiro affannato. Buco allo stomaco. Nodo in gola. Acqua negli occhi. Voragine nel cuore. Aveva lasciato Alba perché non la riconosceva più, la droga la divorava, trasformandola in una persona completamente diversa dalla donna sorridente e gentile che era un tempo. Di conseguenza aveva abbandonato anche Daniel, senza curarsi del suo benessere. Si soffermò a fissare il vetro senza battere ciglio, poi spostò lo sguardo oltre la finestra, e lo vide: il suo bambino, in piedi sotto la pioggia, immobile in mezzo alla strada. La frangetta bagnata gli copriva gli occhi rassegnati per un aiuto che non sarebbe mai arrivato. Lacrime solcavano il viso di Claudio come le gocce d’acqua sul vetro. La disperazione lo assalì: non era stato in grado di proteggerlo. Appoggiò una mano sul vetro per sentirlo vicino, per accarezzarlo da lontano. Ma la sua immagine appariva e scompariva a intermittenza, fino a sottrarsi totalmente alla vista. Daniel riaprì gli occhi di scatto, respirando affannosamente, come se fosse stato in apnea per troppo tempo. Quando si calmò, si accorse di essere di nuovo sdraiato in quel giardino, completamente fradicio. Si addormentò poco dopo, soggiogato da un’insolita stanchezza. Quando il sole era ormai alto nel cielo, una leggera brezza gli accarezzò il viso, svegliandolo. Si mise un braccio sulla fronte per ripararsi dai raggi del sole, che non riuscivano a rallegrare il suo visino triste. Girovagò tutto il giorno tra gli alberi come faceva sempre, quando scorse qualcuno all’ombra di un ciliegio. Si nascose velocemente dietro a un tronco, spaventato da quella presenza. Ma al tempo stesso, la scoperta di non essere solo in quel giardino lo stuzzicò. Chinò la testa per vedere chi fosse: i suoi occhi si spalancarono sempre di più nello scoprire che si trattava di una donna. Stava seduta sull’erba, con la schiena appoggiata al tronco del ciliegio, e una lunga treccia dorata scendeva sulla sua spalla. Accarezzava un lupo dagli occhi gialli, sdraiato accanto a lei. La bellezza di Daniel era custodita nella fiducia incondizionata: prese coraggio e le corse incontro pieno di gioia e aspettativa. Non sapeva ancora chi fosse, ma dentro di sé riconobbe che si trattava di un dono speciale, un’occasione. Il lupo, sentendolo arrivare, rizzò le orecchie. La donna voltò il capo e lo vide fermarsi davanti a lei, ansimante. Notò il suo viso pallido, e gli occhi pieni di curiosità. Nell’attesa che riprendesse fiato, gli parlò mostrando uno sguardo interrogatorio: «Ciao, io mi chiamo Arianna, e tu?» «Io sono Daniel. Puoi dirmi com’è fatta la luna?» La fronte della donna si corrugò: «Non sai com’è fatta la luna?» Lui si sedette accanto a lei, sentendosi sempre più a suo agio: «Non me lo ricordo. E non riesco nemmeno a vederla. Ci provo continuamente, ma non appare mai in cielo!» le confidò un po’ scoraggiato, accarezzando il lupo. Arianna lo scrutò e si rivide nella sua infanzia, seduta sulle ginocchia della nonna: «Non accontentarti mai!» le diceva spesso. Ed ora si trovava in quel giardino in cui non era mai stata prima. Ne aveva visti di simili, ma quel posto aveva qualcosa di diverso, qualcosa che ancora le sfuggiva. Aveva viaggiato a lungo, senza una meta precisa. Forse quel bambino era la sua destinazione. Si domandava come potesse aiutarlo a vedere la luna. Avvicinò lentamente una mano al suo viso: «Posso?» gli chiese, aspettando il suo consenso. Daniel non capiva cosa volesse fare, si girò un istante a guardare il lupo e poi, fiducioso, acconsentì. Arianna appoggiò due dita sulla fronte del bambino e chiuse gli occhi, per vedere. La scena che estrapolò dai ricordi di Daniel fu per lei straziante. Percepì il calore delle coperte e la morbidezza del cuscino. Sentì la voce della madre che, seduta sul letto, gli leggeva una storia di draghi. Vide il libro chiudersi e le mani della madre affondare violente sul piccolo collo. Quando la visione diventò buia, riaprì gli occhi di scatto e ritrasse lentamente la mano, attonita. Il lupo si avvicinò repentino a lei, leccandole il viso per rincuorarla. Lei ebbe così modo di riprendersi da quanto aveva visto. «Daniel, tu credi che la luna esista?» gli chiese. «Si certo! Sono sicuro che esiste, anche se non la riesco a vedere» «Sai, la luna brilla di luce riflessa. Vederla è una tua scelta. Forse non ci sei ancora riuscito, perché non ti sentivi pronto a vedere ciò che potrebbe riflettere, anche se in fondo al tuo cuore non hai mai smesso di sperare. È la tua speranza ad avermi portato qui!» Arianna si alzò e lo prese per mano, portandolo al centro del giardino, lontano dagli alberi. Daniel le stringeva forte la mano, la sentiva calda, accogliente come il suo sorriso. Lei lo fece sedere sull’erba, poi si sedette dietro di lui e lo abbracciò forte. Restarono così, uniti, aspettando la sera. Quel senso di abbandono e solitudine che aveva provato in quel periodo scomparve lentamente, facendo spazio ad una sensazione di pace, che lo pervadeva sempre di più. Si sentiva finalmente protetto e al sicuro. «Tieni gli occhi fissi al cielo.» gli sussurrò fiduciosa la donna ad un orecchio. Lassù, in mezzo alle tremolanti stelle, una falce luminosa iniziò ad apparire, gonfiandosi sempre di più. La luna dominò il buio e catturò lo sguardo di Daniel che, con gli occhi spalancati, poté finalmente ammirare la sua bellezza. Un sorriso di libertà gli illuminò il viso. Il lupo accanto a loro iniziò a ululare. Tra le ombre dei crateri lunari, Daniel riconobbe i lineamenti di un volto. Si girò verso Arianna e la sorprese guardarlo in lacrime. Era il suo volto che la luna rifletteva. Era il volto che in fondo al cuore sperava di vedere. © Elena Bertoli Racconto presente nel libro "Riflessi di Realtà", Edizioni Cerchio della Luna, 2013.
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