Successe 3 anni fa...
- Elena Bertoli
- 11 feb 2020
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 5 set 2020
"Quando vivi qualcosa sulla tua pelle, anche se la racconti, non sarà mai esaustiva e pari a ciò che hai provato mentre succedeva. Le parole fanno questo talvolta, limitano. Aprirsi e raccontarsi non è facile. Sono sempre stata brava con le parole, finché restavano custodite nei miei diari. Ho sempre avuto molti blocchi invece, nel condividerle con le persone. Dopo quello che mi è successo però, non ho più voglia di tenere rinchiusa nessuna parola… Ricordo tutto dal momento dell’impatto: il rumore della fiancata dell’auto contro il guardrail è stato un allarme che mi ha permesso di realizzare che stavo facendo un incidente. Un attimo di panico iniziale mi ha impedito di controllare il volante e da lì mi sono lasciata andare, completamente inerme. Ho perso ogni forma di paura, di timore, di impulsività, e mi sono semplicemente fermata. Ho lasciato da parte il panico, perché non serviva e non mi era utile. Sono riuscita a centrarmi, a comunicare con una parte di me che è sempre stata chiusa e che è apparsa nel momento giusto. Quella parte di me mi ha protetto, mi ha impedito di andare “di là”. Cinque secondi che ricorderò per tutta la vita, nei minimi particolari. Cinque secondi che sono durati per me così tanto. Rosso, arancione e bianco. Colori distribuiti verso l’alto, come fiamme. Questo è ciò che i miei occhi hanno visualizzato in quei pochi attimi, mentre facevo un patto con me stessa, mentre avevo deciso che dovevo farcela, che non sarei morta lì per strada. Una fredda razionalità si è impossessata di me da quando la macchina si è staccata dal guardrail e ha fatto un testacoda finendo nella parte opposta dell’autostrada. Un forte schianto contro l’altro guardrail e ho iniziato a girare su me stessa, con il corpo immobile, come se neanche mi appartenesse. Ero inglobata in un guscio che mi faceva sentire sottovuoto. Percepivo un rumore simile a quello dell’acqua, quando si è sotto la superficie, in apnea. Ero ferma e completamente presente in quel momento, completamente presente a me stessa, consapevole che ero nel mezzo dell’incidente, consapevole però che da lì non sarei andata da nessuna parte. Sono rimasta lucida, ma in balìa di ciò che stava succedendo fuori. Mi sono lasciata andare. Mi sono affidata agli eventi, non potendo fermare l’auto. La macchina, fuori dalla mia bolla, si è rovesciata e capovolta più volte. Non ho avuto paura nemmeno un istante. È assurdo da dire, lo ammetto, ma mentre mi capovolgevo insieme all’auto, una parte dentro di me sorrideva. Si, stavo sorridendo, senza alcuna paura. Quasi fossi in un gioco. Ero così staccata dal mondo esterno che ho percepito solo un’assenza di gravità, il mio corpo seguire i movimenti della macchina e ritrovarsi a testa in giù più volte. E qualcosa dentro di me è uscito. Qualcosa dentro di me si è fatto finalmente sentire. Mi portava a sorridere, tranquillizzandomi perché non mi sarebbe successo nulla. Ero consapevole che fosse un incidente grave, sempre più grave perché l’auto sembrava non fermarsi mai, ma sapevo anche che non era il mio momento di morire, sapevo che avevo ancora molto, ma molto da fare e da dare al mondo. E non ero sola durante quell'incidente. Sapevo e sentivo che c'era qualcuno attorno e sopra di me, qualcuno che mi ha aiutato a proteggermi, che mi ha permesso di salvarmi. Sorridevo perché in fondo mi sono completamente affidata, accettando qualsiasi cosa mi sarebbe successa. Qualcosa da dentro di me si espandeva fin fuori dal mio corpo, comprimendomi quasi, tenendomi lontana da qualsiasi infortunio. E non si trattava dell’airbag, come molti cinici hanno esordito. L’airbag mi ha protetto solamente da un lato, e non lo avevo nemmeno sentito, tanto ero centrata in me stessa ed estranea a tutto ciò che era esterno a me. In quei pochi secondi ho pure avuto il tempo di pensare a cosa possa significare l’avvento di un incidente nella vita di una persona, il doversi fermare, come una sorta di avvertimento estremo a dover cambiar strada e a smetterla con ciò che c’era prima. Di conseguenza, ho pensato al significato che poteva avere un incidente in questo momento della mia vita. La macchina si è capovolta. Io mi sono capovolta. La mia vita si è capovolta. Ho sorriso internamente perché ho fatto un patto con me stessa. Per sopravvivere ho fatto uscire quella parte di me che tenevo segregata, e l’ho fatto senza sforzi, con naturalezza, perché solo lei mi avrebbe potuto salvare. Mi sono permessa di rimanere lucida per tutto il tempo, mi sono concentrata nel voler sopravvivere a quello schianto. È stato come essere in un’altra dimensione, totalmente esterna al mondo, pur essendoci dentro con il corpo. Tutto questo in cinque secondi. E quando finalmente tutto si è fermato, sono tornata di colpo nella realtà. Ero a testa in giù e ho realizzato di essere viva. Sentivo il rumore delle auto che passavano. Ho ripreso a respirare e a percepire di nuovo il mio corpo: non mi ero fatta nulla. Il mio istinto di sopravvivenza si è attivato all’improvviso, sentendo un forte odore di bruciato. Ho potuto risentire la mia voce, che è uscita come un lamento forzato mentre cercavo di rimuovere la cintura di sicurezza, per scappare via da lì il più velocemente possibile. Mi muovevo nell’auto per cercare di uscire, ma la portiera vicino a me era completamente distrutta e inapribile. Mi sono divincolata fino alla portiera opposta, cercando di rompere il vetro, ma senza riuscirci. È stato allora che l’ansia è sparita nuovamente, lasciando spazio alla logica. Una vocina mi ha detto: “Ma perché devi complicarti sempre le cose?”, allora ho palpato la portiera con la mano fino a trovare la maniglia, che si è aperta senza sforzi. Sono strisciata fuori e una volta in piedi ho potuto vedere il risultato di quell’impatto: l’auto era sottosopra, a metà tra la prima corsia e quella d’emergenza, il muso completamente schiacciato sull’asfalto e pezzi di vetro ovunque. Ho perso l’equilibrio per un attimo, poi ho cercato dentro all’auto il telefono, trovandolo a portata di mano, completamente intatto. Ho avuto un attimo di incertezza su quale numero dover chiamare, poi ho premuto 113 e nel momento in cui ho detto ad alta voce “Ho fatto un incidente”, allora ho realizzato che fosse veramente successo. Mentre spiegavo dove mi trovavo, sentivo la parte sinistra della testa bruciare. Mi sono tenuta una mano nel punto in cui provavo dolore, fino a quando sono arrivati i soccorsi. La paura si è fatta spazio in me quando ho dovuto fare la seconda chiamata: “Papà, non vi agitate, ho fatto un incidente, ma sto bene”, ho cercato di mantenere un tono pacato proprio per tranquillizzare i miei genitori, immaginando come avrebbero potuto reagire. Una volta sull’ambulanza, sentivo l’adrenalina fare effetto nelle gambe, tremavo e non riuscivo a fermarmi, ma ero lucida e in grado di raccontare tutto, perfettamente in grado poi di camminare fino all’auto per recuperare qualche oggetto personale. Sono uscita viva e illesa da un incidente di tale gravità. La mia mano era completamente sporca di sangue, perché avevo un piccolo taglio in testa; la fissavo e non potevo farne a meno. Vedevo le chiazze rosse seccarsi nelle crepe del mio palmo e mi sono sentita forte. La debolezza e la vulnerabilità si sono fatte spazio in me una volta arrivata al pronto soccorso. Lasciata spesso da sola tra un esame e l’altro, avevo modo purtroppo di rivivere quei cinque secondi di schianto ancora così vividi nella mia memoria, e le lacrime sgorgavano senza sosta al pensiero di aver rischiato di morire. L’assistenza, il sostegno e la vicinanza di un infermiere, l’unico ad aver compreso la gravità del mio incidente e ad aver unito professionalità e umanità, mi hanno permesso di uscire dall’ospedale con il sorriso e con la sicurezza di non avere alcuna lesione interna. A volte, per quanto si cerchi di essere forti con se stessi, si ha soltanto bisogno di qualcuno a fianco che ci assicuri che va tutto bene, che ci abbracci o che ci chieda come stiamo, specialmente dopo un evento traumatico, di qualunque genere esso sia. Dunque sono ancora qua, indenne, con qualche contrattura, giramenti di testa che vanno e vengono, umore instabile e attacchi di pianto isterico ogni ora, ma sono viva. Ho visto la morte in faccia e lei non mi ha nemmeno sfiorato. L’ho sfidata, sfidando me stessa. Di cosa dovrei avere paura adesso? Del giudizio di persone che non c’entrano nulla con la mia vita? Di non essere all’altezza di una situazione o di qualcuno? Di non essere abbastanza? Di mostrarmi completamente al mondo? Di non essere accettata? Di deludere qualcuno? Di sbagliare qualcosa? No grazie, basta così. Ho superato la paura di morire, la paura più grande in assoluto, paura inconscia ma sempre presente e che, come tutti, ho sempre avuto nella vita e che mi ha sempre impedito di rischiare, di provare, di tuffarmi nelle situazioni, paura che mi ha sempre fatto restare dentro ad un recinto. E l’ho superata, paradossalmente, non provandola nemmeno per un secondo durante questo tremendo schianto. Non sono sopravvissuta. Sono rinata!"
Verona, 11 Febbraio 2017

Questo è quanto successe esattamente 3 anni fa. Un evento così importante non si scorda facilmente. Io ho memoria di ogni dettaglio di quell'incidente, e paradossalmente lo ricordo col sorriso. A volte mi capita di raccontarlo a qualcuno con una naturalezza quasi non fosse nemmeno successo a me ma ad un amico di un amico di un amico...
Se ci ripenso sorrido ancora.
Sorriderò sempre di questo incidente, perché mi ha reso forte, perché vicino alla morte mi ha fatto sentire viva!
Elena Bertoli
Comments