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L'originale mondo di Gabriele D'Annunzio: alla scoperta del Vittoriale degli Italiani

  • Immagine del redattore: Elena Bertoli
    Elena Bertoli
  • 22 ago 2020
  • Tempo di lettura: 7 min

“Io ho quel che ho donato”. Questo motto dannunziano si trova inciso all’ingresso del Vittoriale degli Italiani, framezzo ai due archi che mi hanno accolto per la visita al meraviglioso mondo di Gabriele D’Annunzio, in occasione del mio compleanno.

La personalità eclettica di D’Annunzio devo ammettere che si è fatta sentire prepotente fin dalla soglia di quella che è stata la sua ultima dimora. Il Vittoriale a Gardone Riviera è un complesso che non comprende solamente la casa privata dello scrittore, ma ben quasi nove ettari di parco composti da giardini, sentieri con ruscelli e ponti, musei, fontane e monumenti, il tutto edificato tra il 1921 e il 1938 per volere del Vate.

Ciò che era la sua personale dimora, inizialmente concepita come un luogo ove poter trovare l’ispirazione per concludere il componimento poetico “Notturno”, ora è un’intera esposizione a memoria della vita di un uomo che ha saputo creare il suo “piccolo” angolo di mondo e lasciarne traccia indelebile per chiunque vi entri. Il luogo dove andare a vivere lo ha voluto semplicemente inventare.

Ho iniziato la visita partendo da ciò che parla maggiormente di lui: la sua casa, detta PRIORIA, che già dall’ingresso denota quanto lui tenesse alla religione in ogni sua forma e a diversificare con merito o meno chi accoglieva per visite ufficiali o informali. Salendo i sette scalini troviamo al centro una colonna francescana con sopra una scultura di melograni, frutto tra l’altro spesso presente nelle stanze del poeta poiché ritenuto simbolo di abbondanza. Si presentano qui due porte che danno accesso a due stanze ben differenti tra loro.

  • LA STANZA DEL MASCHERAIO è quella di destra ed è riservata alle visite ufficiali. Viene così chiamata per i versi presenti su una parete, composti in occasione della visita di Benito Mussolini nel 1925: “Al visitatore, teco porti lo specchio di Narciso? Questo è piombato vetro. O Mascheraio, aggiusta le tue maschere al tuo viso, ma pensa che sei vetro contro acciaio”. Si dice che il Duce abbia atteso quasi due ore prima di essere ricevuto da D’Annunzio. La lunga attesa e le parole di accoglienza denotano quanto il Vate tenesse a fargli capire chi dei due aveva maggiore importanza all’interno delle sue mura.

  • L’ORATORIO DALMATA è invece la sala d’aspetto informale che si trova sulla sinistra, riservata alle visite degli amici, che venivano accolti da incensi. In onore di una delle persone a lui care, Francesco De Pinedo, D’Annunzio fece appendere al soffitto l’enorme elica dell’idrovolante con cui l’amico compì 55.000 chilometri nel 1925, record ad oggi ancora imbattuto.

  • LA STANZA DELLA MUSICA è una delle più grandi sale della casa, ove il Vate e i suoi ospiti erano soliti oziare ascoltando musica di ogni genere. Particolare di questa stanza, oltre ai due pianoforti e ai divani con trama damascata, è la penombra che rabbuia ogni angolo, rendendo l’atmosfera alquanto cupa ma intrigante. Da quando D’Annunzio fu ferito all’occhio in battaglia infatti, per la sua fotofobia fece creare delle finestre colorate che impedissero alla luce del sole di entrare prepotentemente nella casa.

  • LA SALA DEL MAPPAMONDO costituisce la biblioteca, una delle stanze in cui sono rimasta maggiormente affascinata, nella quale sono riposti migliaia e migliaia di libri. Viene così chiamata per la presenza di un enorme sfera geografica risalente al ‘700. Anche nella biblioteca la musica non poteva mancare: Luisa Baccara, compagna di D’Annunzio, era solita suonare lì il suo organo.

  • LA ZAMBRACCA rappresenta il guardaroba e l’anticamera della stanza da letto di D’Annunzio. In un angolo si trova la farmacia personale del poeta dove ancora sono presenti antidolorifici, stimolanti e medicinali vari che utilizzava per sopperire alla sua salute cagionevole. Sulla scrivania situata al centro sono stati lasciati gli occhiali che utilizzava per leggere e scrivere. Proprio su quel tavolo, il Vate fu trovato riverso e privo di vita il 1° Marzo 1938. Vi era accanto a lui ancora aperto il Lunario Barbanera, che presentava una frase riguardante la morte, sottolineata da lui in rosso.

  • LA STANZA DELLA LEDA è la camera da letto di D’Annunzio, sopra la cui porta sono incise le frasi “Genio et voluptati” (Al genio e al piacere) e nella parte interna “Per un dixir” (Per un desiderio). Sul soffitto della camera, fra una trave e l’altra, sono trascritti i versi del componimento di Dante: “Tre donne intorno al cor mi son venute”. È assai noto quanto D’Annunzio, seppur con una compagna ufficiale, fosse dedito ad ottemperare alle sue innumerevoli perversioni. Molte donne gli facevano spesso visita e, probabilmente per il suo carisma e la sua capacità di persuasione, erano disposte a tutto pur di compiacerlo. Numerosi in questa stanza sono i tappeti persiani, gli oggetti e i cimeli provenienti da varie parti del mondo, utili proprio per viaggiare con la mente. A rendere completamente buia la stanza è la VERANDA DELL’APOLLINO, fatta aggiungere successivamente e usata come saletta da lettura affacciata sui giardini.

  • LA STANZA DEL LEBBROSO fu concepita da D’Annunzio come luogo di meditazione e dedicata alla veglia funeraria in forma privata. Per D’Annunzio due cose erano certe nella vita: la nascita e la morte. Pertanto face preparare un letto, riposto su di un podio rialzato, che fosse lungo e sottile come una bara e allo stesso tempo intagliato nel legno tale da avere l’aspetto di una culla.

  • LA SALA DELLE RELIQUIE è una stanza dedicata alla fede, ricca di reliquie di varie religioni. Il pensiero di D’Annunzio vedeva infatti l’aspetto principale che accomuna ogni religione: la fede in un Dio, in un essere superiore, l’anima spirituale che è presente in ogni uomo.

  • LA STANZA DEL GIGLIO è quella dedicata a Laura Baccara, sua compagna, dalla quale venivano impartite le mansioni ai domestici, ove sono presenti anche due nicchie usate come pensatoi per trovare ispirazione.

  • LO SCRITTOIO DEL MONCO è la stanza dove il Vate si dedicava alla corrispondenza. È stata chiamata così per l’impossibilità che talvolta aveva D’Annunzio nel riuscire a rispondere ad ogni lettera, soprattutto a quelle dei creditori.

  • LA SALA DELLA CHELI è quella “meno triste” della casa, come disse proprio D’Annunzio, per il fatto di essere la più colorata e luminosa. Rappresenta la sala da pranzo dove sul tavolo è riposto il carapace di una tartaruga usato come monito per i commensali, in quanto l’animale fu trovato morto nei giardini del Vittoriale a causa di un’indigestione.

  • L’OFFICINA è l’unica stanza dove entra liberamente la luce naturale del sole. Qui si manifestavano il lavoro e la creatività di D’Annunzio. Egli riconosceva l’importanza e la solennità del suo “luogo di creazione”, il cui ingresso è costituito da una porta molto bassa e tre scalini: questo obbligava ogni persona che vi accedeva ad inginocchiarsi di fronte al suo genio e alla sua arte. Nel suo studio, riposto dietro alla scrivania, troviamo il busto di Eleonora Duse, da sempre musa ispiratrice del Vate, però coperto da un velo in quanto il poeta ormai non si lasciava influenzare dall’aspetto esteriore della donna, bensì si lasciava consolare dalla semplice presenza di lei nel suo cuore e nella sua mente.

Durante la visita ciò che maggiormente si evince, oltre al voler lasciare traccia di ogni aspetto della sua mente, della sua anima, delle sue idee e della sua fede, è che D’Annunzio non volesse privarsi di nulla. Egli stesso affermava: “Sono un animale di lusso, il superfluo mi è necessario”.

Ho avuto l’intera giornata a disposizione per godermi il parco, ma ammetto che avrei desiderato molto ma molto più tempo per poter assaporare le stanze, analizzare meglio ciò che custodiscono, vivere l’atmosfera che ognuna di esse emana e perdermi tra i mille volumi, libri e oggetti vari ivi presenti.

“Memento Audere Semper” (Ricorda di osare sempre). Questo acronimo, trascritto all’esterno di uno dei musei, ha caratterizzato per me questi ultimi anni tanto da averlo citato nella mia tesi di Master in Criminologia. Trovarlo scritto in grande su un muro è stato per me un monito, “Ecco, si Elena, ricordati di osare sempre nella vita e non accontentarti mai!”.

Sulla sommità del Vittoriale si trova il MAUSOLEO, dove è riposta la tomba di D’Annunzio. Questo monumento funebre di tradizione etrusco-romana è la solenne prova di quanto il Vate sia stato una persona di spicco nell’Italia dei primi del ‘900, uno scrittore, un politico e un patriota, simbolo del decadentismo e la cui arte influenzò la cultura del Paese tanto da essere ricordato come “L’Immaginifico”.

Se la Prioria trasmette l’idea di un vero e proprio santuario del narcisismo e dell’ego di D’Annunzio, buona parte del parco rappresenta il tempio delle imprese degli italiani durante la prima guerra mondiale. Nei giardini, che si affacciano alle limpide acque del lago di Garda e che sono protetti da colline verdeggianti, troviamo La prua della NAVE MILITARE PUGLIA, adornata da una polena raffigurante una Vittoria.

La valletta sottostante è formata da corsi d’acqua traversati da ponticelli, che arrivano a valle nel LAGHETTO DELLE DANZE, i cui argini costruiti richiamano la forma di un violino. Un luogo incantato e decisamente suggestivo, uno dei miei preferiti. La tranquillità dei sentieri che portano a valle, con il solo rumore dell’acqua che sgorga, mi ha permesso di comprendere quanto fosse stato conciliante per D’Annunzio trovare lì l’ispirazione per i suoi scritti.

Fa rimanere senza fiato poi anche il grande teatro all’aperto ispirato all’anfiteatro di Pompei. Il lago sempre presente sullo sfondo garantisce una candida cornice ad un luogo così predominante ed energicamente potente come il Vittoriale.

Con il suo spirito ribelle, solitario ed eccentrico, D’Annunzio ha creato un parco monumentale unico al mondo, che è il suo lascito, assieme alla sua arte, dettata unicamente dall’abbandono all’istinto e ai sensi. La sua personalità poliedrica ha permesso al suo stile compositivo di toccare diverse forme espressive, con la continua esplorazione e ricerca di armonia che egli credeva fosse presente in ogni elemento dell’universo.

Quello Dannunziano è davvero un mondo a parte, ricco di eleganza, fascino e originalità, un mondo dove nulla è dato al caso, dove ogni cosa ha un perché e ogni simbolo un significato cui solo un grande poeta e patriota come l’Immaginifico poteva attribuire.

“Non soltanto ogni casa da me arredata, non soltanto ogni stanza da me studiosamente composta, ma ogni oggetto da me scelto e raccolto nelle diverse età della vita fu sempre per me un modo di espressione, di rivelazione spirituale, come un qualunque dei miei poemi e dei miei drammi. Tutto qui è una forma della mia mente, un aspetto della mia anima, una prova del mio fervore.”

Dall’Atto di Donazione del Vittoriale agli Italiani nel 1923.


Ho lasciato il Vittoriale a fine giornata voltandomi verso l’ingresso che mi ha accolto la mattina, leggendo nuovamente “Io ho quel che ho donato”, imprimendomi nell’anima questa frase, poiché è importante credere con fervore di donare qualcosa senza svuotarsi, arricchirsi pienamente nell’altruismo. “Tutto ciò che doni, è tuo per sempre”: questo è ciò che scrissi nei miei quaderni tempo fa ed infine, di fronte a tutto ciò, non ho potuto far altro che sorridere alla memoria di D’Annunzio.



© Elena Bertoli

16 Agosto 2020


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